Alle sezioni unite la questione relativa alla caducazione del titolo in corso di esecuzione

Alle sezioni unite la questione relativa alla caducazione del titolo in corso di esecuzione

La terza sezione civile della Suprema Corte (Cass.civ. sez. III ord. 6 marzo 2020 n. 6422) ha rimesso gli al primo presidente, affinché valuti se disporne la trasmissione alle sezioni unite riguardo alle conseguenze derivanti dalla perdita di efficacia del titolo esecutivo durante il procedimento di espropriazione.

La complessa vicenda processuale nasce da una causa di sfratto: “ ,R.L.F. , in proprio e quale procuratore del fratello P.V. , notificò a V.P.L. nel 1984 un’intimazione di sfratto per morosità, convalidata in assenza dell’intimato.

Il V. propose opposizione tardiva alla convalida, giudicata ammissibile, ma rigettata nel merito dal Tribunale di Lucca con sentenza del 2008.
Parallelamente i R. , incluso R.P. , proprietario dell’immobile, iniziarono l’esecuzione; il V. introduceva un’opposizione all’esecuzione, anch’essa rigettata in primo grado dal Tribunale di Lucca, di talché nel 2009 veniva eseguito lo sfratto a suo carico.
La Corte d’Appello di Firenze con sentenza del 2011 ribaltò l’esito del giudizio di opposizione alla convalida di sfratto, accogliendo l’opposizione tardiva alla convalida proposta dal V. , dichiarando la nullità dell’ordinanza di convalida emessa in assenza dell’intimato e respingendo la domanda di risoluzione del contratto locativo per difetto di legittimazione attiva degli attori all’esercizio dell’azione.
Il V. proponeva appello anche nel giudizio di opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c., allegando come fatto sopravvenuto il venire meno del titolo esecutivo, ma l’impugnazione, previo rigetto dell’eccezione di tardività dell’appello formulata dai R. , veniva respinta con la sentenza qui impugnata, in cui la Corte d’Appello di Firenze affermava che si trattasse di fatto estintivo successivo, e che come tale non potesse essere preso in considerazione, potendo riconoscersi rilevanza, in un giudizio di opposizione all’esecuzione, solo ai fatti sopravvenuti idonei a determinare l’inesistenza del titolo esecutivo. La sentenza impugnata riteneva anche che non potesse trovare accoglimento la domanda di risarcimento dei danni proposta dall’appellante sia ai sensi dell’art. 96 c.p.c., sia come domanda di condanna generica al risarcimento del danno, per le quali indicava come competente il giudice che accerta l’inesistenza del diritto per il quale si è proceduto con l’esecuzione forzata.”

La Corte rileva un contrasto fra i diversi orientamenti espressi nel tempo: “Ritiene il Collegio che sia opportuna la rimessione del ricorso al Primo Presidente, affinché valuti se sottoporlo all’attenzione delle Sezioni Unite.
Infatti, qualora si ritenesse infondato il ricorso incidentale, che pone una questione di rito in astratto idonea alla definizione del giudizio, ma da valutare alla stregua anche del principio dell’apparenza in base agli atti legittimamente scru-tinabili da questa Corte, il primo motivo di ricorso contiene una questione che è oggetto di contrasto, nei termini che seguono, ed il secondo motivo pone una questione di massima di particolare importanza.

La questione che pone il primo motivo di ricorso è quella della rilevanza della caducazione del titolo esecutivo giudiziale in corso del giudizio di opposizione all’esecuzione, ai fini della decisione da adottare e delle conseguenti ricadute in ordine alla liquidazione delle spese di lite: la corte d’appello nella sentenza impugnata afferma che il fatto estintivo sopravvenuto sarebbe irrilevante, atteso che era inidoneo a determinare l’inesistenza del titolo, e quindi inidoneo a far sì che l’esecuzione intrapresa fosse ingiusta fin dall’inizio.

La soluzione data dal giudice di merito deve confrontarsi con la consolidata affermazione di legittimità secondo la quale in sede di opposizione all’esecuzione con cui si contesta il diritto di procedere all’esecuzione forzata perché il credito di chi la minaccia o la inizia non è assistito da titolo esecutivo, l’accertamento dell’idoneità del titolo a legittimare l’azione esecutiva si pone come preliminare dal punto di vista logico per la decisione sui motivi di opposizione, anche se questi non investano direttamente la questione.

Pur muovendo dalla condivisa affermazione della necessità di prendere in considerazione le vicende estintive del titolo esecutivo, anche se sopravvenute in corso di causa, ed anche se derivanti da motivi diversi da quelli dedotti in sede di opposizione (v. in questo senso Cass. n. 11021 del 2011, Cass. n. 15363 del 2011; Cass. n. 16610 del 2011; Cass. n. 3977 del 2012; Cass. n. 13249 del 2014; Cass. n. 18251 del 2014), le Sezioni della Corte hanno poi tratto conseguenze diverse dal venir meno del titolo esecutivo in corso di causa, con significative ricadute sul tema della liquidazione delle spese di lite, dando vita recentemente ad un contrasto oggetto di segnalazione anche da parte dell’Ufficio del Massimario.

Questa Sezione, nell’ambito della rilettura coerente e condivisa della propria giurisprudenza in tema di esecuzioni, materia di competenza tabellare esclusiva della Sezione, che è a fondamento del “Progetto esecuzioni”, intrapreso dal 2018 in poi, ha affermato – in tal modo superando ogni precedente proprio orientamento sul tema – che “In sede di opposizione all’esecuzione, la sopravvenuta caducazione del titolo esecutivo, in conformità del generale principio della domanda, non determina “ex se” la fondatezza dell’opposizione e il suo accoglimento, bensì la cessazione della materia del contendere per difetto di interesse, sicché, nel regolare le spese dell’intero giudizio, il giudice dell’opposizione non può porle senz’altro a favore dell’opponente, ma deve utilizzare il criterio della soccombenza virtuale, secondo il principio di causalità, considerando, a tal fine, l’intera vicenda processuale“. L’affermazione, enunciata dapprima, a conclusione di articolata motivazione che si confronta, superandole, con le precedenti posizioni, da Cass. n. 30857 del 2018, è stata ripresa e condivisa in quanto espressione dall’orientamento attuale della Sezione sul punto, da Cass. n. 31955 del 2018 e poi da Cass. n. 1005 del 2020.

Le recenti decisioni della Terza Sezione Civile – che rimeditano i precedenti e mirano a risolvere un contrasto interno alla stessa Sezione – muovono dal presupposto che la caducazione del titolo esecutivo nel corso del giudizio di opposizione all’esecuzione porta, ove rilevata, alla declaratoria di cessazione della materia del contendere per sopravvenuto difetto di interesse e non già all’accoglimento dell’opposizione; conseguentemente, la liquidazione delle spese del giudizio non deve essere automaticamente effettuata in favore dell’opponente, bensì sulla scorta del criterio della soccombenza virtuale, considerando a tal fine l’intera vicenda processuale e, in particolare, i motivi sui quali era stata basata l’opposizione (così si era già espressa, con riguardo a un’opposizione ex art. 619 c.p.c., Sez. 3, Sentenza n. 6016 del 9/3/2017, Rv. 643403-01).

La seconda Sezione della Corte si è posta però recentemente in consapevole contrasto con questo compatto orientamento sezionale, che ha ritenuto frutto di involontarie recenti oscillazioni, con la sentenza n. 21240 del 2019, con la quale ha affermato il contrastante principio di diritto secondo il quale l’avvenuta caducazione del titolo esecutivo nelle more del giudizio di opposizione, benché per motivi diversi dagli originari motivi di opposizione all’esecuzione, pur portando ad una pronuncia di cessazione della materia del contendere presuppone una sostanziale fondatezza della opposizione, con conseguente preclusione per il giudice di merito, a pena della violazione delle regole sulla soccombenza, della possibilità di porre le spese di giudizio a carico della parte opponente: “In sede di opposizione all’esecuzione con cui si contesta il diritto di procedere all’esecuzione forzata perché il credito di chi la minaccia o la inizia non è assistito da titolo esecutivo, l’accertamento dell’idoneità del titolo a legittimare l’azione esecutiva si pone come preliminare dal punto di vista logico per la decisione sui motivi di opposizione, anche se questi non investano direttamente la questione. Pertanto, dichiarata cessata la materia del contendere per effetto del preliminare rilievo dell’avvenuta caducazione del titoto esecutivo nelle more del giudizio di opposizione, per qualunque motivo sia stata proposta, l’opposizione deve ritenersi fondata, e in tale situazione il giudice dell’opposizione non può, in violazione del principio di soccombenza, condannare l’opponente al pagamento delle spese processuali, sulla base della disamina dei motivi proposti, risultando detti motivi assorbiti dal rilievo dell’avvenuta caducazione del titolo con conseguente illegittimità “ex tunc” dell’esecuzione”.

Il principio affermato dalla seconda Sezione si ricollega a risalenti arresti giurisprudenziali secondo cui l’esecuzione diviene “ingiusta” se durante lo svolgimento del processo esecutivo sopravviene la caducazione del titolo esecutivo, il che implica il necessario accoglimento dell’opposizione alla esecuzione medio tempore proposta (Sez. 3, Sentenza n. 28 del 7/1/1970, Rv. 344647-01, e Sez. 3, Sentenza n. 1245 dell’8/5/1973, Rv. 363813-01) riprese da Cass. Sez. 3, Sentenza n. 3977 del 13/3/2012, Rv. 621627-01, e Sez. 6-3, Ordinanza n. 20868 del 6/9/2017, Rv. 645366-02. Queste ultime – così come la recente Cass. n. 21240 del 9/8/2019, Rv. 655202-01 – fanno discendere dalla caducazione del titolo esecutivo l’accoglimento dell’opposizione all’esecuzione o, alternativamente, la cessazione della materia del contendere, ma in ogni caso, in punto di liquidazione delle spese, scrutinano la fattispecie solo in relazione all’evento (esterno) sopravvenuto e non in base ai motivi posti a fondamento dell’opposizione esecutiva, la quale deve ritenersi ex se fondata ab origine “per qualunque motivo sia stata proposta”.

Anche il secondo motivo pone una questione sulla quale si ritiene di sollecitare un intervento chiarificatore delle Sezioni Unite, integrando una questione di massima di particolare importanza, che concerne l’individuazione del giudice competente a conoscere, e quindi della sede naturale per proporre, le domande di risarcimento dei danni provocati da una esecuzione intrapresa in difetto della normale prudenza, che trovano la loro forma tipica nella previsione dell’art. 96 c.p.c., comma 2, se nel giudizio sul merito, ovvero nel giudizio in cui si contesta il titolo, o nel giudizio di opposizione all’esecuzione.

Nel caso di specie, i ricorrenti avevano proposto, in sede di opposizione all’esecuzione avverso una ordinanza di convalida di sfratto, sia una domanda di risarcimento danni c.d. generica, sia la domanda per responsabilità processuale aggravata, ex art. 96 c.p.c., comma 2; la corte d’appello ha dichiarato inammissibili le domande, indicando che deve ritenersi competente il giudice che accerta l’inesistenza del diritto per il quale si è proceduto con l’esecuzione forzata.
La questione è quindi se la domanda di risarcimento danni ex art. 96 c.p.c., comma 2 per aver agito esecutivamente senza la normale prudenza debba essere proposta, e in quali casi, dinanzi al giudice del processo nell’ambito del quale il titolo esecutivo si è formato, o dinanzi al giudice dell’opposizione all’esecuzione: ovvero, bisogna individuare chi sia, nelle varie possibili situazioni, il giudice al quale è demandato l’accertamento dell’inesistenza del diritto per cui è stata iniziata o compiuta l’esecuzione forzata (v. Cass. n. 14653 del 2015, e Cass. n. 1590 del 2013).
L’opportunità di un intervento delle Sezioni Unite è data dalla peculiarità della fattispecie, la quale potrebbe implicare, dopo la ricostruzione del sistema dei rapporti tra azione esecutiva illegittima e azione risarcitoria conseguente, anche la valutazione del caso in cui la prima sia basata su titolo esecutivo giudiziale provvisorio, cioè a caducità intrinseca e necessariamente instabile.”

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